La comunità educante e il sistema di tutela
Uno degli obblighi dello Stato verso i suoi cittadini è quello di garantire un’adeguata protezione e tutela per i soggetti minorenni e di presiedere al loro percorso educativo (dentro e fuori le mura scolastiche)
in linea con le principiali carte internazionali riguardanti i diritti dei minorenni, a partire dalla convenzione di New York, ovvero la Convenzione ONU sui diritti del fanciullo, che orienta l’azione educativa e contiene i riferimenti per valutare l’adeguatezza dei contesti educativi rispetto alla garanzia dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza.
Lo Stato italiano, per adempire a questo compito e rispettare la Convenzione ONU sui diritti del fanciullo, ha istituito un sistema di tutela nel quale sono coinvolti attori istituzionali accanto ad attori della comunità. Questi attori formano la cosiddetta comunità educante, ossia l’insieme degli adulti che condividono la responsabilità educativa sui minori affiancando la famiglia: la rete parentale, gli insegnanti, i servizi sociali, i tecnici sportivi, ecc.
È importante dunque che chiunque entri in contatto con ragazzi/e minori di 18 anni, quale che sia la relazione che ha con tali giovani, sappia che deve sentirsi parte di questo processo educativo, di questo sistema di protezionecosì come di questa comunità educante e cheogni contesto di vita è un contesto educativo.
Per questo motivo, la Procura presso il Tribunale per i minorenni è un fondamentale interlocutoreper tutti i cittadini, in quanto ente che deve verificare, in caso vi sia un rischio di pregiudizio, se e in che misura il sistema di tutela – di cui parleremo più nel dettaglio – riesca a garantire il benessere del minore o se sia necessario ricorrere a strumenti di tutela straordinaria proponendo un ricorso al Tribunale per i minorenni.
I giovani devono poter aver fiducia nei confronti degli adulti, quale che sia la relazione con essi, ad esempio si può contare sulla comunità educante.
Cos’è la comunità educante?
È importante sottolineare che la famiglia non è più considerata la sola responsabile della tutela del minorenne e del soddisfacimento dei suoi bisogni primari. Seppur essa rimanga centrale e fondamentale in questo compito, tale responsabilità è da considerarsi condivisa tra le diverse figure adulte che fanno parte della vita dei bambini/e e dei ragazzi/e.
La comunità educante è l’insieme degli attori che condividono la responsabilità educativa del giovane minorenne, chiamati ad operare in una prospettiva di promozione e di sostegno integrando i propri ruoli e offrendo aiuto reciproco.
I bambini e le bambine infatti entrano molto precocemente in un sistema educativo (ad esempio, con l‘ingresso nei servizi educativi per l’Infanzia) che non è limitato alla sola famiglia o agli operatori e insegnanti della scuola: vi è inclusa la rete parentale e amicale, il pediatra o medico di base, gli operatori dello sport, i ministri del culto religioso eventualmente praticato dal giovane, gli operatori di tutti i servizi con cui il minorenne ha a che fare, dei sistemi di educazione informale, dei media e così via.
Si tratta di un cambiamento culturale che implica alcune novità rispetto a qualche decennio fa e che è dipeso da trasformazioni della struttura famigliare, della società e della maniera di concepire l’infanzia, un cambiamento che mette sempre più al centro la figura del bambino/a per ciò che è, ovvero una persona titolare di diritti sin dalla nascita, con un proprio modo di essere, di sentire, di vedere e di pensare.
Quali sono le responsabilità degli adulti
che fanno parte della comunità educante?
Tutti coloro che compongono la comunità educante devono saper leggere i comportamenti delle persone di minore età, interpretarne i bisogni e rispondervi adeguatamente prestando attenzione al benessere a tutto tondo del bambino/a.
Le condizioni di benessere di una persona di minore età si realizzano quando gli adulti danno valore all’ascolto attento dei suoi bisogni e alla sua effettiva partecipazione nelle scelte su questioni che la riguardano. Ciò vuol dire anche mantenere alta l’attenzione su segnali di una possibile difficoltà, e confrontarsi per una lettura condivisa del problema e delle azioni a sostegno.
Ogni membro della comunità educante deve essere attento a notare i segnali di difficoltà che i giovani possono lanciare così come rendersi conto se un altro adulto mostra difficoltà nella relazione con un minore.
In questi casi è importante che ognuno sappia porsi come risorsa nella relazione e portare il proprio aiuto parlando con l’adulto in questione e/o con il giovane stesso (a seconda di come valuta la situazione e quello che sta accadendo).Chiunque sospetti che una relazione possa esporre un minore ad un pericolo ossia a forme di abuso, maltrattamento, violenza deve rivolgersi al più presto alle autorità.Un bambino/a potrebbe avere difficoltà a denunciare o parlare di una violenza o di un comportamento scorretto che sta subendo da parte di un adulto – o anche di un altro giovane – o potrebbe non avere gli strumenti per comprendere a fondo cosa stia succedendo, ecco perché è fondamentale che ogni adulto intorno a lui sia pronto ad agire tempestivamente al suo posto.
Il minorenne in difficoltà deve potersi appoggiare alla relazione sulla quale investe fiducia; i segnali di difficoltà, le sue richieste di aiuto, non possono essere ignorate o rimandate ad altri.
Dato che la funzione educativa è complessa e fondamentale, gli attori della comunità educante non sono lasciati soli ma possono – e, in alcuni casi, devono – far riferimento adun sistema di tutela formale il cui scopo è garantire e promuovere i diritti dell’infanzia.
Gli attori fondamentali nel sistema di tutela dell’infanzia e dell’adolescenza
I servizi sociali hanno uno specifico mandato di sostegno alle famiglie che possono trovarsi in difficoltà e ai minorenni in condizioni di disagio e potenziale pregiudizio. In questi ambiti i servizi sociali possono attivarsi autonomamente, senza dover necessariamente chiedere indicazioni e/o prescrizioni all’autorità giudiziaria. In alcune situazioni i servizi devono invece fare ricorso al Tribunale, in particolare quando:
- Non vi sia il consenso dei genitori e del minorenne al progetto di intervento
- Non vi sia collaborazione da parte della famiglia al progetto.
- Non sia stato possibile nemmeno formulare proposte di intervento, o effettuare gli accertamenti propedeutici, a causa degli ostacoli frapposti dal nucleo familiare.
In questi casi il Tribunale per i minorenni con un provvedimento autorizza il servizio sociale ad intervenire pur in assenza di consenso limitando o comprimendo la responsabilità genitoriale per permettere la realizzazione degli interventi necessari.
Nel caso il servizio sociale venga a conoscenza di un minorenne che si trovi in situazione di pregiudizio perché la responsabilità genitoriale è esercitata male (o, in casi estremi, non è esercitata affatto), ovvero risulti in stato di abbandono, deve segnalare la situazione alla Procura presso il Tribunale per i Minorenni. Quest’ultima valuterà gli elementi portati e deciderà se approfondire l’indagine e se proporre ricorso al Tribunale per i minorenni.
La Procura presso il Tribunale per i minorenni ha, in campo civile, iniziativa processuale a tutela di bambini e ragazzi che si trovino in condizioni di pregiudizio in ambito familiare o in stato di abbandono: riceve, quindi, tutte le informative e le segnalazioni che riguardano minorenni in tali condizioni, provenienti dalle varie forze di polizia giudiziaria e dai servizi che nel nostro sistema non hanno una diretta legittimazione ad agire (Servizi sociali, Consultori familiari, Servizi di neuropsichiatria infantile, S.E.R.T.).
La Procura, dopo un'eventuale più approfondita indagine attraverso i Servizi operanti sul territorio, può formulare al Tribunale per i Minorenni un ricorso volto a stimolare gli opportuni interventi attraverso l'apertura di procedimenti limitativi della responsabilità genitoriale ovvero di valutazione dello stato di abbandono del minore con eventuale inserimento in una valida famiglia.
In tale ambito spetta alla Procura presso il Tribunale per i Minorenni anche una specifica competenza di tutela di determinate vittime: l’art.609 decies c.p., infatti, prevede che “quando si procede per taluno dei delitti previsti dagli articoli 600, 600-bis, 600-ter, 600-quinquies, 601, 602, 609-bis, 609-ter, 609-quinquies, 609-octies e 609-undecies commessi in danno di minorenni, ovvero per il delitto previsto dall'articolo 609-quater o per i delitti previsti dagli articoli 572 e 612-bis, se commessi in danno di un minorenne o da uno dei genitori di un minorenne in danno dell'altro genitore, il Procuratore della Repubblica ne dà notizia al Tribunale per i minorenni(leggasi al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni)”.
In tutti i casi in cui la pregiudizievole situazione familiare del bambini/ragazzo si sia evidenziata in seguito alla commissione di un reato, la competenza in campo civile della Procura presso il Tribunale per i minorenni concorre con quella in campo penale della Procura ordinaria che deve accertare la sussistenza del reato e acquisire le prove della sua commissione: ovviamente sarà onere dei due uffici coordinarsi fra loro affinché non si creino interferenze fra l’azione dell’uno e quella dell’altro.
Il Tribunale per i Minorenni, nelle sue funzioni in materia civile, decide in ordine ai ricorsi presentati dalla Procura o dalle parti private legittimate ad agire.
Al Tribunale per i Minorenni, quindi, spetta la decisione in ordine agli interventi da attuare a tutela dei minorenni i cui genitori non adempiono in modo adeguato o non adempiono affatto ai loro doveri.
Il Tribunale può porre dei limiti all’esercizio della responsabilità genitoriale imponendo specifiche prescrizioni ai genitori ed attivando l’intervento dei servizi socio-sanitari per sostenere il minorenne e la sua famiglia e per monitorarne le condizioni di vita.
I Servizi Sociali Minorili (USSM) rientrano nel più ampio sistema della Giustizia minorile che fa capo al Dipartimento per la giustizia minorile e di comunità del Ministero della Giustizia ha, come diramazioni territoriali, i Centri di Giustizia Minorile (CGM).
L’art. 609 decies c.p., ai commi 4 e 5, stabilisce che: “In ogni caso al minorenne (vittima dei reati indicati al comma 1 su riportato) è assicurata l'assistenza dei servizi minorili dell'Amministrazione della giustizia e dei servizi istituiti dagli enti locali.
Dei servizi indicati nel terzo comma si avvale altresì l'autorità giudiziaria in ogni stato e grado del procedimento”.
I Servizi Sociali Minorili, quindi, hanno una competenza specifica per la tutela delle vittime dei gravi reati indicati nella norma citata.